I formaggi di latte scremato
Alcuni simboli della produzione casearia italiana, quali il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, l’Asiago stagionato, il Castelmagno e il Quartirolo sono formaggi con un contenuto di grassi sulla sostanza secca molto inferiore alla media (circa il 30% contro il 40-45%), in quanto prodotti con il latte scremato. Si tratta di un tipo di produzione tipico dell’Italia, al quale si cercherebbero invano corrispondenti altrettanto illustri in Europa.
La cause che hanno diffuso questo metodo di lavorazione sono molteplici. Scremare il latte significava poter disporre di burro senza dovere rinunciare alla fabbricazione del formaggio, e in aree dove la produzione lattiera non abbondava questo ripiego può essere stato dettato dalla necessità. Ma c’è una ragione storica ancora più complessa: in Italia la produzione del formaggio era concentrata soprattutto in montagna o in aree specializzate, come la pianura padana, e per questo motivo si rendeva spesso necessario il trasporto delle forme per lunghe distanze, verso destinazioni anche molto lontane. Era dunque fondamentale che almeno un certo quantitativo della produzione potesse conservarsi a lungo, e che fosse tanto duro e compatto da sopportare senza danni un tragitto spesso difficoltoso.
Ora, stagionare per più di un anno un formaggio di latte intero è un’impresa che presenta qualche pericolo, perché dopo quel periodo la sua componente grassa potrebbe acidificarsi, alterandone completamente il sapore. Il rischio si riduce invece quasi a zero se il contenuto in grassi è minore a causa della scrematura del latte. Quest’ultima operazione, se eseguita per affioramento, non danneggia assolutamente le caratteristiche organolettiche del latte, per cui i formaggi a base di latte scremato non sono meno saporiti di quelli a latte intero.