La pasta filata
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4 Agosto 2017

La pasta filata

La lavorazione del formaggio a pasta filata, pur essendo praticata anche nel nord Italia con un prodotto insignito della Denominazione di origine protetta (il Provolone Valpadana), è tipica del centro-sud del paese: attualmente quasi tutti i formaggi di latte vaccino prodotti nel meridione sono a pasta filata. Questa tecnica molto antica, originata forse da scrupoli igienici, prevede l’immersione della cagliata per un lasso di tempo variabile in acqua calda, nella quale, grazie al riscaldamento e a processi di acidificazione e demineralizzazione, assume la consistenza di una pasta elastica che può essere lavorata e tirata senza spezzarsi (da qui il nome di «pasta filata»). In seguito si procede al suo raffreddamento in acqua e alla salatura mediante l’immersione in salamoia.

La consistenza ideale della pasta filata, che deve essere morbida e tenera, si raggiunge soltanto con la lavorazione a mano: i macchinari industriali danno prodotti eccessivamente compressi, e di conseguenza troppo duri e gommosi. Per la sua particolare malleabilità la pasta filata può assumere le forme più disparate: anche se in generale si preferiscono quelle tondeggianti o oblunghe, in alcune zone esiste la tradizione di creare con questo materiale vere e proprie sculture di figure umane o animali o floreali, in altre la pasta di formaggio diviene una sorta di tasca nella quale si avvolgono completamente, proteggendoli dall’aria, altri generi alimentari, quali il burro o piccoli salumi.